TITOLO: Le campane di San Pietroburgo
AUTORE: Jessica Marchionne
EDITORE: Words Edizioni
GENERE: Fantasy storico
FORMATO: Ebook (2,99) - Cartaceo (12,90)
DISPONIBILE SU AMAZON
E IN TUTTE LE LIBRERIE
Un intreccio sorprendente di storia e fantasia
sullo sfondo della Russia di Lenin, Stalin e della fierezza imperiale dei Romanov.
Il libro è uno, le storie sono due.
Diviso in due parti, entrambe raccontate dai due protagonisti assoluti, Viktor e Gavril, Le campane di San Pietroburgo è un romanzo breve che mescola alla perfezione storia e fantasia. Ma altro grande protagonista del romanzo è il tempo, che promette e non dà, poi restituisce, infine si piega magicamente all’amore e all’affetto, concedendo quell’attimo, solo uno, fugace, di serenità. L’intreccio ben studiato da parte dell’autrice concede al lettore la possibilità di affacciarsi su uno scorcio veritiero di storia, quella che tutti conosciamo e abbiamo studiato più o meno bene sui banchi di scuola, sviluppando tuttavia un what if interessantissimo con l’entrata in scena di Anastasia Romanov. E a condire il tutto, quella spruzzata di magia in cui Viktor smette di credere ad un certo punto, mentre Gavril ci si affida per andare avanti.
Due personaggi, Viktor e Gavril, segnati dalla solitudine non per scelta. Il primo abbandonato dalla famiglia e da un padre crudele; il secondo vittima della ferocia di Lenin. Insieme riusciranno a coesistere, dandosi in un certo modo affetto a vicenda, sopperendo l’uno alle mancanze nella vita dell’altro. Viktor è il figlio che Gavril ha perso, Gavril il padre che il ragazzo non ha mai avuto. Da quel micro mondo composto da due persone appena, tuttavia, il destino della Russia sarà sconvolto, ribaltato, nuovamente segnato dal sangue. Viktor e Gavril sono due personaggi complementari: da un lato troviamo un ragazzino che ha perso fiducia nella vita, abbandonato da chi avrebbe dovuto amarlo, venduto a un uomo che non conosce e desideroso di fare qualcosa di quella vita che non ha scelto, ma forse troppo poco incline a credere che sia davvero possibile; dall’altro abbiamo un uomo che la vita ha portato sull’orlo della follia, ma che non ha mai abbandonato la propria integrità morale, i propri ideali e soprattutto non ha mai smesso di credere nelle possibilità della vita.
Si parte dalla Russia, ma si finisce in Messico.
Ma ogni tassello trova la sua delicata posizione in questo fantasy, storicamente ricco di dettagli: ogni cosa ha il suo posto nella storia, ogni avvenimento è studiato e incastrato nella narrazione per contribuire allo scorrere fluido della trama. Esattamente come lo scorrere del tempo scandito dalle lancette di un orologio.
TRAMA
Viktor è solo un bambino quando riceve in dono dal fratello Ivan un diario, a suo dire, capace di realizzare tutto quello che vi viene scritto: è così che esprime il desiderio di diventare Zar. Ma la sua vita, nel pieno della prima grande guerra, è destinata a essere stravolta: viene venduto dal padre a uno strano uomo di nome Gavril, segnato dalla perdita di moglie e figli. Di loro gli resta solo un orologio fermo, che all’improvviso riprende a ticchettare con l'arrivo di Viktor. Quando Palazzo d’Inverno viene attaccato, però, tutto sembra perduto ancora una volta. Anni dopo, Viktor incontrerà Anastasia Romanov, e insieme a lei, dopo essere diventato Zar, riconquisterà la città fino all’avvento di Stalin. Ma ecco che, quando le campane di San Pietroburgo risuoneranno, il diario rivelerà ancora una volta la sua magia. E cosa ne sarà di Gavril, legato a quell’orologio che segna il tempo in bilico tra la vita e la morte?
BIOGRAFIA
Jessica Marchionne è nata a Sezze nel 1991. È laureata in ‘Editoria e scrittura’ e ha continuato a frequentare corsi e tirocini anche dopo gli studi nella speranza di trasformare la sua passione in lavoro. Legge da sempre qualsiasi genere anche se predilige il fantasy e lo storico. Ha un blog ‘Luce sui libri’ dove recensisce libri di autori emergenti e dispensa ogni tanto qualche consiglio. Ama i videogiochi, gli animali e pensa che l’autunno sia la stagione che meglio le si addice.
Le campane di San Pietroburgo edito da Words Edizioni è il suo romanzo d’esordio.
ESTRATTI
1.
«Nel nostro Paese, specialmente adesso, non sempre le cose vanno come vogliamo. Semmai un giorno ti sentissi triste, invece di guardare solo fuori dalla finestra, potrai redigere la tua storia. Questo diario però accetta solo racconti belli, e se non scriverai niente di brutto, anche la realtà non sarà tale» disse.
«Davvero?» domandai, guardando il diario sempre più meravigliato.
«Ha anche un altro pregio: puoi immaginare il tuo futuro e confidarlo alle sue pagine. Se lo scriverai come lo desideri, allora si realizzerà.»
«Se scrivo che diventerò Zar, quindi, succederà?» chiesi eccitato.
«Se lo vuoi, sì. Il diario poi farà il suo lavoro. Comincia con la storia di adesso, sono sicuro sarà magnifica. E ricorda, Viktor, cos’è che il diario vuole?»
«Solo racconti belli» risposi con un sorriso.
2. «Cosa significa che non ritorneranno?» chiesi, flebile. Il mio respiro si condensò nell’aria.
«Tuo padre ti ha venduto a me. Sei uno dei tanti doni che mi ha lasciato per poter passare indenne il confine. Gli serviva una raccomandazione, siccome non è amico dei bolscevichi…»
Quelle parole risuonarono stonate alle mie orecchie. Non ci credevo, non le comprendevo. Sapevo che mio padre mi odiava e voleva sbarazzarsi di me, per questo speravo mi mandasse via un giorno, magari in qualche bel posto. Alla fine era successo, e Ivan era stato suo complice.
Mi aveva fatto perdere tempo nel riporre giusto quei due ciondoli, sicuramente lasciati di proposito nel comò. Scuotevo la testa mentre ricordavo e una lacrima provò a scivolarmi lungo la guancia, ghiacciandosi tra le mie ciglia. Guardai l’uomo e come un automa scesi le scale: mi sembrava di sprofondare sempre più verso l’inferno, e mai quell’inferno mi era sembrato più freddo.
3. «Quando dici che non c’è più, vuoi intendere che è morto?»
«No, o almeno non credo…» risposi incerto.
«E allora non dire che non c’è più. C’è e lo devi trovare.»
«Ma come?»
«Tornando nel passato, come ti ho detto.»
«Rozovij, è imposs…»
«Non lo è» mi interruppe. «Niente lo è. Se lo fosse, io non sarei riuscito a portare delle rose nell’inverno di Pietrogrado.»
«Non profumano» dissi. Era vero. La rosa che mi aveva dato non appassiva, ma non profumava.
«Quello che serve adesso è solo un po’ di colore, non il profumo, capisci perché te l’ho voluta dare? Bastava solo il colore, era quello che serviva a te, quando ti ho visto la prima volta.»
Rimasi allibito.
«Così non è una vera rosa però, no?» chiesi poi, titubante.
«Ma se lo vuoi, lo sarà.»
«Se è il colore che vuoi portare perché adesso le vuoi prendere bianche?»
«Tra poco il colore dominante sarà il rosso. Colorerà anche la neve. Dovrò riportare il bianco.»
4. «Credi davvero che un giorno ci riusciremo?» mi domandò Anastasia una sera, guardando oltre uno dei balconi di Palazzo d’Inverno.
«Ne stai forse dubitando?»
Anastasia scosse la testa e dei riccioli rossi ribelli le caddero sul viso.
«Solo che mi sembra così strano. Un mio grande desiderio sta davvero per diventare realtà. Ho riconquistato il mio palazzo e presto avrò la testa di Lenin.» Attese qualche secondo. «E tu sei mai stato così vicino alla realizzazione di un sogno, tanto da non crederlo possibile?»
La sua domanda mi piegò la bocca in un leggero sorriso.
Le presi la mano e la guardai intensamente negli occhi. Lei sostenne il mio sguardo e per la prima volta vi lessi una leggera paura, poi mi sorrise a sua volta e strinse forte la mia presa.
«Era il tuo stesso sogno» sussurrai e le baciai la mano.
«Era, dici?» chiese, arrossendo appena.
«Sì, era. Perché insieme l’abbiamo realizzato. Smettila di pensare non sia vero e guarda oltre il balcone. Laggiù è radunato un vero e proprio esercito che siamo riusciti a formare in pochi anni. Un esercito che combatte per noi. Lo sai che neanche io all’inizio ci credevo, ma sei stata tu a trasformarlo in realtà.»
5. L’orologio da poco comprato al figlio era quasi distrutto nel suo palmo: il disegno della rosa incrinato, la gabbia dorata mancante di pezzi, non si sentiva nessun ticchettio, era rotto in maniera irreparabile.
«Aprilo, coraggio» lo invitò Maksim con una voce fintamente squisita. Come se stesse cercando di invogliare un bambino demotivato.
Le sue dita tremarono troppo e non riuscì a schiuderlo al primo tentativo. Non era solo per la lana del guanto che scivolava sopra il piccolo oggetto mezzo distrutto, non riusciva davvero a controllare quel tremolio spastico.
Quando riuscì ad aprirlo, guardò il vetro completamente scheggiato, lì dove le lancette si erano fermate alle 12:30 esatte.
TITOLO: Mani sugli occhi
AUTORE: Pitti Duchamp
EDITORE: Words Edizioni
GENERE: Romance contemporaneo
FORMATO: Ebook (2,99) - Cartaceo (15,90)
DISPONIBILE SU AMAZON
E IN TUTTE LE LIBRERIE
Può l’amore essere in grado di cambiare ogni cosa?
Può l’amore essere in grado di cambiare tutto, di sconvolgere abitudini e vite come se nulla fosse? È la domanda a cui dovranno trovare risposta Aiace, chirurgo oftalmico di fama internazionale, e Scilla, un’ambiziosa giornalista che punta alla vetta del successo.
Entrambi proiettati verso il successo, entrambi determinati e capaci.
Entrambi soli.
Perché sì, Aiace ha una compagna, che però tiene a debita distanza dalla sua vita. Agnese è per lui una promessa da mantenere, e forse solo questo. E Scilla è un’anima errante, caotica, libera nel vento della sua vita, che spesso la scombussola e le fa cambiare a forza direzione.
È così che Scilla e Aiace si incontrano, per un tiro mancino del destino, che decide di privare Scilla della vista. Un caso, un imprevisto. E dall’imprevisto al precipizio il passo è decisamente breve e fatto di baci languidi, carezze, sesso e sensi di colpa.
Vite diverse, quelle di Scilla e Aiace, seppure simili. Sicuramente sovrapponibili, mescolabili, ma per quanto? Perché conoscere l’amore è un conto, ma sacrificare tutto per quell’amore…
Mani sugli occhi è il terzo romanzo che Pitti Duchamp pubblica per Words Edizioni. Un’autrice eclettica come poche, una storia vera, che scorre sotto la pelle, regala sorrisi, tenerezza, anche qualche lacrima. Una piccola perla, come sempre sono i libri di Pitti, che rende perfettamente l’idea di come la vita non sia sempre in bianco o nero, ma ricca di migliaia di piccole sfumature capaci di regalarci tanto.
A volte tutto.
TRAMA
L’amore può insinuarsi in una vita fatta di doveri e soddisfazioni professionali e demolire l’egocentrismo di un chirurgo oftalmico di fama internazionale? Può sostituirsi all’ambizione di una giornalista di talento e darle un’altra densità, modificarle lo spirito? Un uomo e una donna al centro delle proprie vite, concentrati sulle loro aspettative, sugli egoismi, sulla paura di distrarsi dai propri obiettivi, entrambi troppo adulti e solidi per scendere a compromessi e rinunciare a una parte di loro stessi. Un amore inaspettato che sovverte e disordina, squassa e stacca e non dà possibilità di scelta se non la fuga. Eppure, quando l’indipendenza si trasforma in solitudine, solo un sentimento profondo può riparare l’anima. Se una vocazione perde di significato è nell'amore che può tornare a recuperarlo. Aiace e Scilla sono la dimostrazione che non c’è età per scoprire quanto i sentimenti possano indurre al cambiamento.
BIOGRAFIA
Nata nel 1981 sotto il segno del Leone a Firenze, Pitti Duchamp vive tutt’ora nella provincia di Firenze, sulle colline del Mugello, con il marito rugbista, due bimbi indisciplinati e un cane anarchico. Appassionata di burlesque e collezionista di pezzi vintage di arredamento e moda cerca di coniugare i suoi interessi scrivendo e leggendo romance storici. Se avesse del tempo libero adorerebbe trascorrerlo tra i rigattieri e i robivecchi del centro di Firenze.
È amante della storia in particolare quella dell’Europa tra il 1500 ed il 1900, i quattrocento anni che hanno creato la modernità per come la conosciamo oggi in termini di arte, pensiero filosofico e scientifico, socialità. Apprezza nelle persone più di tutto la gentilezza, il garbo e la buona educazione, quel “non so che nel portamento” che fa di una donna una dama e di un uomo un signore. In self ha pubblicato per la serie D’amore e d’Italia: L’Arabesco, Lupo di primavera, La gran dama, Il pugnale e la perla nera, La fiamma del ghiaccio. Ha partecipato alla raccolta Natale a Pemberly con uno scritto ispirato a Orgoglio e pregiudizio e alla raccolta Cuori fra le righe con un racconto ambientato durante la Grande guerra. Per DRI Editore ha pubblicato Frittelle al miele e altre dolcezze, il primo regency, e Stupefacente banalità, un romance contemporaneo.
Per Words Edizioni ha pubblicato il regency Il Farabutto e la Sgualdrina e il romanzo contemporaneo Sabbia Bianca, primo volume della tetralogia I Giganti del Calcio Storico.
Mani sugli occhi è il suo terzo romanzo pubblicato con la casa editrice campana.
ESTRATTI
1.
“Si rimetta sul fianco opposto all’occhio operato… sotto la coperta. Starò con lei stanotte.”
“Si fida di me?”
Una donna alquanto impudente. Le preparo un antidolorifico che è anche antipiretico, ha le mani molto calde, la stanchezza deve aver fatto salire la febbre.
“Nelle condizioni in cui è… dubito davvero che potrebbe attentare alla mia virtù.” Scilla beve la medicina e riprende la posizione corretta.
“Posso comunque sedurla.”
2.
“Mi hai seguito? Da quando devo renderti conto dei rapporti che ho coi miei pazienti?”
“Mi è solo sembrato strano che la seguissi, Riccardo si poteva occupare di lei.”
“Per questo mi hai esposto ai giudizi del mio personale? Mi hai accarezzato in pubblico, sai bene che non lo tollero.” Mi distacco da lei, metto spazio tra il mio corpo vestito con canottiera e boxer e il suo nudo.
“Ho visto come l’hai guardata nell’atrio.”
“E come l’avrei guardata?” Cerco di essere ironico, ma mi sento come un bambino beccato con tre caramelle in bocca.
“Non se ne è accorto nessuno, Aiace, non lasci trasparire mai niente. Però, io sì, io mi accorgo di tutto. L’hai guardata come se da lei dipendesse la luce del sole.”
Agnese si tira su e si appoggia sul gomito: è una donna piacente, florida, con morbidi capelli castani e occhi chiari, ma la sua posa è inadatta a un medico chirurgo.
“Aiace, noi non abbiamo una tresca di nascosto. Noi stiamo insieme, abbiamo una vita di coppia, non c’è nessuno che fa pettegolezzi su di noi e ci sarebbe ancora meno curiosità se vivessimo insieme, se mi trasferissi qui da te. Nessuno parlerebbe alle nostre spalle.”
“Non è possibile, lo sai. Non posso avere persone che mi deconcentrano intorno.” La immagino mettere le mani tra i miei abiti stirati dalla lavanderia, usare i miei asciugamani impilati per grandezza in ordine decrescente, profanare i miei spazi personali occupandoli per sé, arrivando a pretendere che io sacrifichi le mie abitudini.
“Mio padre lo avrebbe voluto.”
Mi volto di scatto, furioso, ma tengo la mia intolleranza sotto controllo. So che per lei i miei rifiuti sono fonte di grande disappunto, rispetto la sua delusione, ma non cedo terreno alle sue richieste.
“Non usarlo per manipolarmi, odio che tu lo faccia. Non sarebbe degno di tuo padre.”
3.
Ho i polmoni in saturazione, il cuore fuori controllo e il cervello, neanche a dirlo, catapultato in un’altra dimensione. La spingo sul tavolo, che crepita instabile, e lei si siede allacciandomi le gambe addosso. Ha il respiro pesante. L’istinto, di nuovo quel bastardo, mi fa aprire i pantaloni incredulo di essere io davvero questa bestia infoiata.
Sposto i ridicoli slip, sfioro la pelle setosa della sua intimità mentre Scilla mi tocca e indirizza il mio sesso verso il suo corpo.
Mi spingo dentro di lei.
Non mi rifiuta, non si ritira, non rimane ferma e passiva. Al contrario, si avvicina e asseconda i miei movimenti mentre il tavolo scricchiola a ogni spinta, come a sottolineare quello che stiamo facendo con il suo supporto.
Scilla ansima, i suoi sospiri di gola hanno un suono erotico, la vestaglia le è scivolata dalle spalle e gli spallini di quel francobollo di stoffa che indossa hanno ceduto lasciando fuoriuscire i seni che si muovono sensuali sotto i miei colpi. Ne prendo uno in mano e lo accarezzo, sfrego un polpastrello sulla punta acuminata di un capezzolo e sento che Scilla si contrae e spezza la sua voce. Quel volto abbandonato e gli spasmi dei muscoli devono essere la manifestazione del piacere: ha la bocca appena aperta, gli occhi chiusi, i nervi del collo tesi nell’abbandono del godimento.
Il tavolo cigola ancora sotto il peso di Scilla, che non deve essere poi molto, ma la mia performance lo ha messo alla prova. Lei è abbandonata, la sento gonfia e scivolosa, mi avvolge e io non ho mai creduto che l’incastro tra un uomo e una donna potesse essere così. Ho davanti la scena più lasciva a cui abbia mai assistito e ne sono protagonista. Il pensiero è così eccitante che sento già montare l’orgasmo. Sto per raggiungere l’apice quando le gambe del tavolo sotto Scilla emettono un rumore sordo e si spezzano. Lei è del tutto presa dalla nostra parentesi fisica. Io ho i riflessi più pronti, la trattengo a me, le afferro le natiche, la sollevo che siamo ancora collegati e, schiacciandola contro la parete a fianco, esplodo, senza nessun pensiero al mondo.
4. “Mi fa piacere che tu sia qui. Ti ho pensato qualche volta.”
Bugiarda. È un maledetto chiodo fisso.
Lui sorride, sembra malinconico mentre mi muovo per la stanza apparecchiando.
“Io non riesco a smettere di pensarti.”
Mi blocco d’improvviso, ancora il cuore che mi sorprende con un tonfo. Assorbo le parole e muovo qualche passo nella sua direzione. Lui mi sta guardando, la sua sagoma interrompe la luce chiara che viene da fuori.
Non oso toccarlo, non allungo le braccia verso di lui in una richiesta implicita di essere abbracciata. Gli sto lasciando la porta aperta, ma è lui che deve varcare la soglia. Io non ho intenzione di saltargli addosso, anche se l’aria tra noi è satura di tensione e Aiace ha l’aria di un vampiro assetato.
“Avevi detto che quei cinque minuti sfrenati ti erano dispiaciuti” gli ricordo.
“Invece avrei dovuto inchiodarti al letto.”
Si avventa sulla mia bocca, mi forza le labbra e mi bacia. Aiace brucia, sembra affannato e la vena del collo pulsa come se stesse per scoppiare. Mi stringe e mi spinge la nuca contro di lui.
Senza staccarci, caracolliamo contro qualche mobile e precipitiamo sul mio piumone. Via la maglietta, via la camicia, via la sua giacca, la camicia e i pantaloni.
5. “Aiace.”
“Sei di nuovo da sola” afferma la sua voce vicina.
Percepisco il calore del suo corpo e i rumori dei suoi spostamenti. Sono sorpresa ed estasiata.
“È il mio destino.”
Lui ha il volto alla mia altezza, sento il suo respiro sulla fronte, deve essere accosciato davanti a me. Chissà in quanti ci stanno osservando.
“Ti porto a casa” mi dice, e ha una voce così rassicurante che non prendo neanche in considerazione l’idea di oppormi.
Forse era predetto che me lo ritrovassi davanti, come dice Nausica. Probabilmente la vita mi sta offrendo una seconda possibilità.
TITOLO: La luce dell’alba
AUTORE: Liliana D’Angelo
EDITORE: Words Edizioni
GENERE: Narrativa storica
FORMATO: Ebook (2,99) - Cartaceo (15,90)
DISPONIBILE SU AMAZON
E IN TUTTE LE LIBRERIE
Sullo sfondo della seconda guerra mondiale,
tre giovani vite si intrecciano all’ombra di un inquietante segreto.
L’anno è il 1943, l’Italia è impegnata nel secondo conflitto mondiale al fianco dei nazisti di Hitler. Il Duce Mussolini è un uomo da prendere ad esempio per molti. Per altri, solo la causa di fame e dolore. In questo contesto storico e sociale, tornano a incrociarsi le vite di Lavinia, Emma e Lorenzo: cresciuti insieme, separati da anni, ancora felici di potersi rivedere.
Ma il loro incontro mette in crisi quel perfetto rapporto a tre, sconvolto nei suoi equilibri sino a quando non è più possibile tornare indietro. E nel caos delle loro esistenze si infila con prepotenza anche la guerra, ancora più dura e più cruenta. Perché non cambiano solo gli assetti personali, ma anche quelli sociali: chi ieri era amico oggi è un nemico crudele, che non risparmia dolore e morte.
Il legame tra Lavinia, Emma e Lorenzo è metafora, in questo senso, della fragilità dei rapporti umani, ed è in perfetta sincronia con quella che è la situazione italiana all’epoca in cui vengono narrati i fatti. Tradimento e vendetta muovono i fili delle azioni dei protagonisti e la scena attorno a loro, scavando nella trama piccoli sentieri che, seppure diversi, conducono a un unico punto.
Liliana D’Angelo, già autrice prolifica di libri per ragazzi e che ora si cimenta in questo suo primo testo di narrativa storica, ci restituisce uno spaccato dell’Italia degli anni Quaranta molto fedele, persino negli aspetti più crudi, rendendo al lettore una trama ben congeniata e strutturata, personaggi vividi e veri, grazie ai loro difetti ancor più che i loro pregi, e un contesto storico curato nei dettagli, ricco di particolari tanto che sembra di essere lì, tra Roma e Firenze, sui monti nascosti con la Resistenza, tra le macerie di città distrutte e corpi ammassati. Impotenti nei confronti della violenza e degli orrori di guerra, ma capaci di sperare ancora. Sperare sempre. Come la luce del sole all’alba, il futuro però è all’orizzonte e porta con sé attesa, desiderio di rinascita e soprattutto perdono.
TRAMA
La luce dell’alba è una storia di amore e di guerra, di forti nodi affettivi e di inganni. Protagonista l’Italia degli ultimi anni della seconda guerra mondiale e della Resistenza, insieme a Emma, Lavinia e Lorenzo, tre bambini inseparabili ma che poi saranno costretti a dividersi. Quando anni dopo si rivedranno, si scopriranno diversi e presto il loro rapporto imploderà. La violenza della guerra avrà un’influenza determinante sulle loro vite e li spingerà a compiere scelte drammatiche e imprevedibili, fino alla scoperta di un segreto che cambierà per sempre la vita a uno di loro.
BIOGRAFIA
Liliana D’Angelo consegue la Maturità Classica nel luglio del 1984 presso il Liceo Classico “P. Giannone” di Caserta. Laurea in Lettere conseguita nel luglio del 1990 presso l’Università degli Studi di Napoli “Federico II”, oggi è docente di lettere nella Scuola Secondaria di secondo grado a tempo indeterminato.
Pubblicazioni:
Il Profumo della Viole (2005)
Il Segreto di Villa Camilla (2006)
L’Albero dei Desideri (2007)
Chiedi alla Luna (2008)
Magica Europa (2009)
La Schiava Cristiana (2010)
Come un puzzle (2012)
Le fiabe più belle (2012)
Iris e l’inganno della principessa (2014)
Siamo ragazzi (2016)
Gioco di squadra (2017)
– Corri più veloce del vento (2018)
Tutti i romanzi sono editi da Medusa Editrice.
Per Words Edizioni esordisce con La luce dell’alba.
ESTRATTI
1.
‹‹Scommetto che gli uomini fanno la fila per uscire con te.››
‹‹Può darsi, ma per il momento il mio unico amore è lo studio.››
Lorenzo piegò la testa di lato. ‹‹Non vorrai farmi credere che non c’è nessuno qui?›› Puntò l’indice a pochi centimetri dal suo cuore. Emma fu costretta ad abbassare gli occhi. Avrebbero rivelato troppe cose.
‹‹Nessuno. Tu, invece…››
‹‹Io non mi sono mai sentito come mi sento adesso.›› La sua voce si era fatta roca. Le prese la faccia tra le mani e la guardò intensamente. Un attimo dopo la stava baciando.
2. Lei e Lavinia si erano incontrate il primo giorno di scuola.
La maestra le aveva spinte a sedere nello stesso banco, fitto di nomi e date incise col temperino. Loro si erano scrutate di sbieco, intimidite da tutte quelle novità. Poi avevano tirato fuori i quaderni con le copertine nere e copiato le asticelle tracciate alla lavagna. Non si erano dette granché. Erano troppo occupate nel loro lavoro o forse si stavano studiando. Tutto era filato liscio fino al momento della ricreazione, quando qualcuno aveva nascosto una rana nel cestino di Emma. Quando lo aveva aperto per prendere la merenda, la rana le era saltata in testa, curiosando qua e là in cerca di una via di fuga e finendo con l’impigliarsi tra i suoi riccioli. Emma aveva sentito quelle piccole zampe annaspare sotto l’orecchio e aveva creduto d’impazzire. Si era messa a urlare fino a restare senza fiato e intanto aveva preso ad agitare le braccia e scrollare i capelli. Lavinia non aveva perso tempo. Infilando la mano dentro quei boccoli sfatti, aveva agguantato la rana e l’aveva scagliata contro un albero, poi si era guardata intorno in cerca del colpevole. Era bastato un attimo. Con la coda dell’occhio si era accorta di una bocca che rideva, un fiocco storto che si nascondeva dietro mucchi di nuche curiose. L’aveva già notata quella faccia molle. Sedeva al primo banco, incollata alla cattedra, scrutava la lavagna con occhi da gallina. Senza stare a pensarci, l’aveva tirata giù e le aveva spiaccicato la bocca sulla rana morta. La Chiassi era arrivata col suo nodo stretto da Gestapo, la faccia paonazza. Dagli occhi spargeva una luce molesta, il senso sadico di una giustizia che raddrizzava le schiene.
Aveva decretato una punizione esemplare.
Venti bacchettate sui palmi e cento pagine di asticelle e cerchietti. Lavinia si era piegata al castigo. Entrando in classe, aveva porto le mani, girando la faccia. Nel suo banco Emma piangeva, ogni colpo la faceva tremare. Da quel giorno l’aveva eletta a sua amica del cuore.
3. Lorenzo fu spinto a sedere, gli furono legati polsi e caviglie. La canna di un fucile lo guardava a distanza mentre mani insolenti si allungavano in giro, spalancavano pensili, frugavano nella dispensa. Sapevano come muoversi, chissà quante fattorie avevano violato. Vecchi casali di tufo fatti di stanze ruvide, di travi che strisciavano come serpi lungo i solai.
Tre di loro salirono di sopra vociando. Lorenzo sentì i loro passi nelle camere da letto, vide la madre trasalire a ogni schianto, la bocca che avvizziva.
Fu imbastita una mensa scombinata. La tavola si riempì di pane, formaggi e salsicce. Arrivò altro vino. Arrivarono le risate. Sì, ingozzatevi pure, bevete, spanciatevi come porci ma lasciate stare le mie donne o quant’è vero Iddio vi cavo gli occhi.
Mangiavano sguaiati con le bocche unte, presero altro pane, le conserve sott’olio. Poi uno di quelli rimasti di guardia entrò e disse qualcosa. Il comandante si rabbuiò. Urlò un’imprecazione, scostò il piatto e si alzò berciando in quella sua lingua astrusa. Da uno spiraglio della finestra, Lorenzo lo vide saltare su una delle jeep e allontanarsi in una nuvola di polvere.
Un verso smorzato come uno squittio lo fece voltare. Un soldato si era avvicinato alle donne, guardava Lisa, i suoi occhi vuoti contro il muro. Lorenzo si agitò sulla sedia, sfregò i polsi. Che diavolo voleva fare quel cane? Sentiva il puzzo del suo sudore salirgli alle narici, il cuore battergli forsennato in gola. Vide la madre tirarsi la figlia al petto con uno strappo, lo sguardo fermo di una che non ha paura. Si sarebbe fatta ammazzare per le sue bambine, se solo avessero provato a toccarle.
4. ‹‹Maggiore von Brunner, voi due vi conoscete?›› Leccesi sembrava stupefatto.
‹‹Ho avuto il piacere di incontrare la signorina circa un anno fa, in casa di amici. Più che un incontro direi che si è trattato di uno scontro›› precisò lui. Emma trasalì. Ecco chi era! L’ufficiale a cui era finita addosso alla villa dei Colombo, durante i festeggiamenti per il matrimonio di Filippo. Dio, com’era stata sbadata, quella volta. Gli aveva perfino versato il vino sulla giacca, ma lui non si era scomposto e aveva liquidato l’incidente con una battuta.
Sì, ma adesso? Calmati, si disse, dopotutto non sa il tuo nome, perciò non può risalire alla tua identità, piuttosto, forse può essere l’unico a trarti d’impaccio.
Fece un bel respiro e gli tese la mano, sorridendo. Lui fissò le fossette che le si formarono ai lati della bocca.
‹‹Buonasera, maggiore. Lieta di rivedervi.›› Quel maledetto voi. Quanto le costava adoperarlo. Solo ai tedeschi era concesso farne a meno.
5. ‹‹Salite in macchina, signorina, vi scorterò per un pezzo di strada.››
Emma stava per obbedire quando dietro di lei si levò un tumulto. Ci fu uno sparo, seguito da un tonfo secco, come di un sacco che cade dall’alto. Urla infantili riempirono la strada. L’uomo era a terra, si stringeva un braccio al petto e aveva un labbro spaccato che colava sangue. Due guardie avevano preso i bambini, li trascinavano verso un furgone parcheggiato di fianco al marciapiede. I piccoli piangevano, scalciavano, e la madre sembrò impazzire. Si divincolò dalle braccia che la tenevano stretta e corse verso di loro. Li aveva quasi raggiunti quando uno dei soldati la freddò. La faccia le si squarciò, sangue e materia cerebrale schizzarono nell’aria come sputi, il suo corpo crollò a terra.
Emma si schiacciò i palmi sulle orecchie, inorridita, mentre qualcuno chiudeva i portelli del furgone e dava gas, e qualcun altro urlava ordini furiosi. Le sembrava di spezzarsi in due, avrebbe voluto sprofondare in una crepa dell’asfalto, sparire sottoterra, tra le fogne. Poi l’odio e la rabbia ebbero il sopravvento. Si sollevò scossa da un tremito incontrollabile e si diresse verso la pozza di sangue.
‹‹Signorina! Venite, su, andiamo.›› Leccesi la trascinò alla macchina. ‹‹Non dovrebbero farlo in mezzo alla strada›› borbottò, spingendola sul sedile posteriore.
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